Domino’s pizza: la strategia fallimentare che ha portato alla chiusura in Italia

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Questa non è una breaking news, forse è qualcosa di più. 

Il tema di oggi, infatti, non riguarda il caso Domino’s pizza in termini di chiusura degli store in Italia, ma del perché è successo questo e delle strategie che hanno portato alla triste notizia (per molti)…

Facciamo un passo indietro.

Chi è Domino’s Pizza?

Domino’s Pizza è un franchising americano (come McDonald’s) che propone una pizza in stile e gusto americano (ricorda queste parole perché ci serviranno dopo). 

Mentre oggi parliamo di franchising, in realtà Domino’s nasce nel 1960 come una piccola pizzeria nel Michigan. Il suo punto di forza, basato su fattori socio-culturali non italiani, ma appunto americani, è la consegna della pizza calda a casa in 30 minuti.

Infatti, Consegniamo la pizza calda a casa tua in 30 minuti è anche il payoff dello stesso brand. 

Perché “la pizza calda a casa in 30 minuti” è il loro punto di forza?

Per riprendere quello che abbiamo scritto in precedenza, il punto di forza di Domino’s basato su una consegna rapida della pizza a casa dipende da […] fattori socio-culturali. 

Con questo intendiamo che in America è consuetudine non pagare la pizza se la pizza arriva con eccessivo ritardo. In Italia non sempre agiamo in questo modo e siamo abituati ad aspettare anche molto tempo per una pizza d’asporto o delivery.

I film in questo insegnano molte cose, scene come questa ne abbiamo viste a milioni: consegna pizza in ritardo, niente mancia e niente pagamento. 

Rispetto a questo fattore socio-culturale, Domino’s si impegna – grazie al suo sistema di consegna e organizzazione – a consegnare un’ottima pizza calda a casa (brevettando un cartone che conservava il calore della pizza) in poco tempo. 

E la pizza?

La pizza di Domino’s è una pizza in pieno stile americano, dal gusto, alla tipologia d’impasto alto e spesso, senza cornicione, con molta “mozzarella cheese” (forse sarebbe meglio parlare solo di formaggio…) e con un abbinamento ingredienti distante dal nostro concetto italiano di pizza (pizza con l’ananas, pizza pepperoni, pizza cheeseburger, e molto altro ancora…). 

Se la visione della pizza americana è questa ed è risaputo che l’Italia oltre a essere la patria del buon cibo è la patria della pizza, perché Domino’s ha deciso di aprire numerosi store in Italia? 

La strategia Aziendale

L’obiettivo aziendale dei prossimi dieci anni era di raggiungere una quota del 2% delle pizzerie in Italia, ovvero 880 punti vendita per il 2030.

Questo è quello che Lazzaroni, amministratore delegato del gruppo aveva riferito ai possibili affiliati.Inoltre la strategia geografica di Domino’s era quella di cercare locali su strade dove c’era movimento, visto che le consegne a domicilio rappresentano i profitti delle pizzerie, fino al 60%, basandosi sulla potenza organizzativa e gestionale delle consegne veloci.

Come ha fatto Domino’s a gestire i franchising in Italia?

A questo punto possiamo introdurre il secondo protagonista di questa strategia fallimentare, ePizza SpA. In effetti, per aumentare il raggio di copertura italiano, la strategia di Domino’s pizza è stata quella di fare un accordo di franchising con ePizza SpA, il gruppo che doveva detenere per 20 anni i diritti del marchio americano e per fornire un servizio di consegna strutturato a livello nazionale. 

Nel 2020 vogliamo raggiungere una percentuale del 50% di negozi gestiti direttamente da Domino’s e del 50% da affiliati, per arrivare nel 2021 a un rapporto 30%-70%, è linea tracciata dall’amministratore delegato Lazzaroni.

Un piano di espansione in crisi

I motivi della crisi, spiegati da ePizza nei documenti della procedura legale per la conferma delle misure protettive, sarebbero dovuti a una diminuzione dei ricavi durante il periodo pandemico e poi un’aumentata concorrenza nel settore del delivery, provocata dall’aumento dell’offerta durante il lockdown. 

Dai dati registrati e pubblici dell’attività viene dichiarato che l’investimento maggiore da parte del gruppo ePizza è rivolto alla ristrutturazione degli store, con un ammonto totale di 3,85 milioni senza ancora menzionare l’avvio del franchising stesso. La situazione sebbene nel 2017 sembrava in espansione, in realtà è peggiorata.

Da quanto dichiarato da ePizza, anche il cambio strategico nel food ha avuto risvolti negativi sul bilancio. Tra queste, il recente lancio delle “Ricette d’Autore”, pizze ideate dallo chef Marco Valletta con ingredienti IGP e DOP Made in Italy al 100%.

Piano strategico e riflessioni

Facciamo un riepilogo di tutte le componenti che a nostro parere hanno portato alla conseguente chiusura degli store e delle possibili falle strategiche: 

1. Riflessione sul piano di espansione

Che un’azienda come Domino’s pizza voglia attuare un piano di espansione geografico in Italia (dopo l’America e l’Europa) non va definito superficialmente con nel Paese della pizza, non puoi aprire Domino’s.

Anche l’Italia è una Nazione divisa in regioni, situazioni e contesti culturali differenti con gusti ed esigenze diverse e ricco di contaminazioni culinarie del mondo, apprezzate e abbracciate sempre da più persone.

Ieri non immaginavamo di cenare in un ristorante africano, oggi possiamo farlo, ecc. Infatti, Domino’s non ha ipotizzato di aprire a Napoli (li sarebbe stato un suicidio), ha piuttosto puntato su città e luoghi d’interesse che in primis rispondevano alle esigenze di franchising e in secundis ai costumi delle persone. Questo però ci porta a parlare della seconda riflessione.

2. Riflessione sulla food strategy

Perché una pizza americana è stata adattata agli standard (in fatto di gusti) italiani? Ebbene sì, hanno addirittura aggiunto il cornicione:

Cosa vogliamo dire con questo?

Che la pizza di natura americana non solo si è posizionata in Italia patria della pizza, ma lo ha fatto non conservando la tipologia di pizza americana proprio, la junk pizza se la vogliamo definire così. Di conseguenza, la strategia è stata adattarla ai gusti italiani. Si poteva agire in modo diverso, anche evitando questo change. Se le persone conoscono il brand all’estero e lo mangiano per provare una pizza diversa, non è necessario adattare la pizza americana ai gusti italiani perché non si avvicinerà mai a questi, perché la pizza in Italia è una filosofia. 

È anche vero che all’estero i ristoranti adattano qualsiasi piatto della nostra tradizione ai loro gusti. Un italiano quasi mai preferisce mangiare in un ristorante italiano all’estero, in Norvegia ad esempio. 

In Italia, patria della cucina in generale e soprattutto della pizza, avrebbero dovuto conservare la loro natura americana (preservarsi come junk pizza) ma non adattando una pizza americana ai gusti italiani in Italia, patria della pizza. 

Per dirla tutta, io che sono di Napoli, se mi fossi trovata a Milano l’avrei provata. Ma l’avrei fatto con l’obiettivo di assaggiare qualcosa di americano non dovendo spendere un biglietto aereo di 500€ e non l’ibrido che poi ne è risultato. 

3. Riflessioni sulla comunicazione

Se l’obiettivo principale del loro piano di espansione era quello di portare in Italia un servizio di consegna veloce della pizza calda a casa perché si è finito per parlare di qualità della pizza? E soprattutto dov’è finita la comunicazione sul delivery in generale? Sui social network non c’è traccia…

Se la strategia comunicativa era quella di puntare tutto sulla spedizione, il cambio rotta e la direzione verso la qualità della pizza è da considerare come uno dei possibili fattori che si aggiungono al fallimento. 

Vediamo le reazioni degli utenti alla comunicazione del brand sui social: 

4. La reazione degli utenti alla chiusura degli store Domino’s pizza in Italia

Gli utenti sui social, di fronte la chiusura degli store Domino’s in Italia hanno reagito male (per la maggioranza).

Questa questione è di notevole importanza e presuppone che – nonostante ci sia una porzione di utenti che non ha mai apprezzato l’apertura invece – alle persone piaceva quell’idea di pizza, il suo gusto e più in generale anche solo provare qualcosa di diverso, oltreoceano, qualcosa di americano. Di conseguenza, qual è stato il problema?

5. La pandemia ?

Non sono poche le attività che hanno chiuso durante e dopo la pandemia. Attività che non sono riuscite a organizzare delivery, altre non attrezzate e altre che non rientravano nei costi. Qui però stiamo parlando di una compagnia che fattura miliardi e che con la sua esperienza avrebbe sicuramente potuto gestire il tutto in modo differente.

I bilanci mostrano un calo effettivo, ma chi dice che sia dovuto alla pandemia solo perché è avvenuto dopo e non a una strategia di espansione fallimentare e un’organizzazione da rivedere da più punti di vista?

6. Resoconto: l’organizzazione, la falla più grande

Dopo aver preso visione dei documenti ufficiali pubblici e delle notizie sull’accaduto in generale, riteniamo che il fallimento di Domino’s pizza sia dovuto a non pochi fattori, ma soprattutto all’organizzazione interna ed esterna dell’azienda.

Con questo intendiamo che il surplus di spesa per l’apertura degli store rispetto agli incassi iniziali e l’organizzazione dal punto di vista di consegna, con conseguente lamentela da parte delle persone, abbia causato il fallimento della multinazionale. 

Risultato

Dal 2015 al 2022, fino alla loro chiusura definitiva in Italia, Domino’s è riuscita ad aprire solo 29 pizzerie della catena a fronte delle 880 (entro il 2030) e accumulando circa 10,6 milioni di euro di debiti fino al 2020, secondo gli ultimi rapporti annuali certificati.